Un presidente dell’Europa? Si può fare cosi

di Sandro Gozi

Veltroni nel suo discorso al Lingotto ha giustamente rilanciato la nostra proposta di eleggere un “presidente dell’Europa”. In Europa abbiamo dei popoli, da “unire nella diversità”, ma non abbiamo vere elezioni “europee” né un vero “governo europeo”. Ciò non è dovuto più solo o tanto a carenze istituzionali, quanto ad una palese assenza di volontà e di coraggio politico da parte dei leader dei governi e dei partiti nazionali ed europei. Perché già oggi potremmo legare più direttamente le elezioni europee alla scelta del capo dell’esecutivo europeo, potremmo avere un “presidente dell’Europa” e potremmo avere elezioni veramente europee con partiti transnazionali. Ci provammo nel 2009, col Partito Democratico Europeo, proponendo Guy Verhofstadt o Mario Monti. Allora, ci scontrammo con lo scetticismo del Pse, che ora invece sembra aver cambiato posizione. È questa in ogni caso la battaglia che noi democratici dobbiamo fare, in vista delle prossime elezioni del 2014 e in coerenza con le ragioni del Pd: superare gli schemi della politica del Novecento in Italia, proporre un’alternativa politica e democratica in Europa.
Il trattato di Lisbona ci consente infatti di eleggere un “presidente dell’Europa” senza necessità di ulteriori modifiche costituzionali. Vediamo come. Innanzitutto, quando parliamo di “presidente dell’Europa”, pensiamo ad un presidente con poteri esecutivi. Nell’Unione europea – che non nasce in base al principio della separazione dei poteri, ma della commistione di funzioni – ciò significa andare alla ricerca delle funzioni esecutive all’interno delle diverse istituzioni. Nel caso del presidente, dobbiamo guardare al Consiglio europeo e alla Commissione europea: per avere un “presidente dell’Europa”, occorre che le funzioni di “presidente del Consiglio europeo” (oggi esercitate dal belga Herman Van Rompuy) e quelle di “presidente della Commissione europea” (Josè Manuel Durao Barroso) siano attribuite alla stessa personalità.
Possibile? Certamente.
In base al trattato di Lisbona «il presidente del Consiglio europeo non può esercitare un mandato nazionale». Viene così sancita un’esplicita incompatibilità tra questa carica europea e cariche nazionali; implicitamente, però, viene anche ammessa la possibilità di cumulare la carica di presidente del Consiglio europeo con quella di presidente della Commissione europea. Questa formula è il frutto di una battaglia “sull’aggettivo” (“nazionale”, ma non “europeo”) che sotto la presidenza di Romano Prodi conducemmo con successo nel 2003 durante i lavori della Convezione sul futuro dell’Unione, assieme ai commissari Michel Barnier e Antonio Vitorino e con Giuliano Amato, allora vicepresidente della Convenzione stessa. Se le due cariche coincidessero, si assicurerebbe veramente più coerenza, più controllo democratico e meno frammentazione nell’azione esecutiva condotta da un vero e proprio presidente dell’Unione europea.
Parallelamente, accentuando la “parlamentarizzazione” del sistema politico europeo, già da tempo in corso, dobbiamo scegliere la personalità che dovrebbe ricoprire l’incarico di presidente dell’Unione europea attraverso le elezioni europee, chiedendo a tutti gli aspiranti a tale incarico di candidarsi alle elezioni europee.
Sempre in base al trattato di Lisbona, il parlamento europeo deve “eleggere” il presidente della Commissione: i vari partiti politici europei, quindi, potrebbero indicare il loro candidato, con l’accordo (di gruppi politici e governi) di eleggere presidente della Commissione il candidato del partito, o dell’alleanza di partiti, che risulti vincitore delle elezioni europee del 2014. Sarebbe infatti molto difficile per i capi di stato e di governo europei, riuniti nel Consiglio europeo (che devono «tenere conto» delle elezioni europee nel designare il presidente della Commissione) indicare come presidente della Commissione e sottoporre al voto parlamentare una personalità diversa da quella legittimata con voto popolare (che dovrebbero poi nominare anche presidente del Consiglio europeo per farne un vero “presidente dell’Unione europea”).
Rimane però aperta la questione della reale legittimità democratica di questo presidente, che non può basarsi su soluzioni istituzionali ma che richiede uno spazio politico europeo più forte e veri partiti politici europei, anziché le deboli confederazioni di partiti nazionali che oggi abbiamo in Europa. Ecco perché tale scelta dovrebbe venire accompagnata dalla modifica del sistema elettorale per il parlamento europeo. Modifica che dovrebbe portare ad un sistema elettorale veramente uniforme in tutti gli stati e ad una quota crescente di eletti non in liste di partiti nazionali ma in liste europee transnazionali, totalmente svincolate dalla nazionalità e dal territorio e basate unicamente sulla condivisione di una visione e proposta politica per l’Europa e un candidato alla sua Presidenza.
Andrew Duff, europarlamentare liberale, sta lavorando per una prima riforma in tal senso, con l’aggiunta agli eletti nelle liste nazionali di un esiguo numero di eletti in liste transnazionali. Non solo tale proposta va sostenuta con forza, ma occorre anche pensare ad un sistema che permetta, progressivamente, di aumentare le quote degli eletti nelle liste transnazionali e diminuire quelli nelle liste nazionali.
Una doppia riforma di questo genere, presidente dell’Unione europea eletto in liste transnazionali, permetterebbe veramente di rompere i 27 muri politici, mediatici, culturali nazionali che fanno delle elezioni europee delle elezioni di serie B, una sorta di test sulla (im)popolarità dei vari governi in carica. E soprattutto, tale riforma renderebbe evidenti a tutti le insufficienze e le debolezze degli attuali “partiti politici europei”, la necessità di superare le loro divisioni novecentesche e di costruire nuove forze e alleanze attorno al progetto per l’Europa e alla personalità che dovrebbe eseguire quel progetto come “presidente dell’Europa”. Un volto noto a tutti gli europei, un’idea scelta dagli europei, un’azione di cui rendere conto ai parlamenti e ai cittadini europei, in un’Europa più democratica.

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