Alla ricerca dell’Europa che non c’è

Seconda conferenza del gruppo Spinelli “European Identity: between myth and reality” (Ulrich Beck e Amin Maalouf) 15 Marzo 2011, presso la sede del Parlamento europeo, Bruxelles

di Manuela La Gamma

Come si definisce l`idea di Europa e, di conseguenza, l`idea di identità europea?

Chabod, nella sua “Storia dell’idea di Europa”, ripercorre le tappe del lungo cammino che, dalla Grecia classica all’Ottocento, ha portato alla nascita e allo sviluppo dell‘idea di Europa intesa come coscienza dell’appartenenza a un insieme che non è solo territoriale o politico ma soprattutto culturale. Tale idea nasce sulla base della contrapposizione agli “altri”,  individuati, di volta in volta, nei persiani, negli sciiti, nei barbari, nei turchi. Alla radice di tale plurisecolare contrapposizione c’è essenzialmente un problema di civiltà, che opponeva popoli abituati a vivere nella tirannide e nel dispotismo, come quelli asiatici, a popoli governati, invece, da regimi repubblicani.

Ulrick Beck, noto sociologo tedesco autore di libri di successo quali “Che cos’è la globalizzazione?”e “La società cosmopolita”, rigetta completamente la possibilità di una definizione dell`identità in base a ciò che non si è, in base all`idea dell`”altro da sé”.

L`altro, secondo Beck, non é diverso da noi, non è accanto a noi, bensì in noi e non può essere escluso.

Questa è la “colpa” dell`Europa: è autoreferenziale, parla troppo di se stessa ma non abbastanza dei suoi cittadini – e con i suoi cittadini.

 


Fatta l`Europa, non si sono fatti gli Europei: ci si aspettava quasi che tale processo avvenisse in automatico – ma non è successo. Il problema fondamentale, continua Beck, è che non si è guardato alla creazione di un’identità europea da una prospettiva cosmopolita, bensi utilizzando le categorie del “nazionalismo metodico”, che definiscono l`identita dell`individuo basandosi su categorie del tipo “o….o…”. Infatti, in base all’immagine dello sguardo nazionale la cultura viene intesa come unità territorialmente delimitata, introvertita; tra le culture domina il silenzio, e ciò porta al cosiddetto clash of civilisations, allo scontro di civiltà.

Al contrario, il cosmopolitismo metodologico pensa e studia la dimensione sociale e quella politica servendosi di categorie del tipo “sia… sia”. Adottando un`ottica cosmopolita in un mondo di crisi globali e di pericoli generati dal progresso, le vecchie distinzioni – tra dentro e fuori, nazionale e internazionale, noi e gli altri – perdono il loro carattere vincolante. Pertanto, per sopravvivere c’è bisogno di un nuovo realismo, un realismo cosmopolita.

In sostanza, non si può tentare di comprendere l`UE da un punto di vista prettamente nazionale. Se l`UE viene intesa come somma di società nazionali, cos’è la società europea?

Risulta dunque chiaro che l`Europa non possa esistere al di fuori dei Paesi membri: esiste all`interno degli stessi e dei cittadini europei. Il paradosso più palese, continua Beck, è che l`UE potrebbe costituire un`arena di discussione dove gli interessi dei singoli Stati potrebbero essere portati avanti in maniera migliore e più approfondita. Non bisogna pensare all`UE come uno “Stato mancato”, come una “nazione incompleta”, né si deve avere paura che possa sfociare nella creazione di un “super-Stato”: dalle ceneri delle nazioni, pari ad un`araba fenice, deve nascere un`Europa cosmopolita, il cui processo di integrazione non deve passare tramite l`eliminazione delle differenze: queste ultime non sono il problema, bensì la soluzione.

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