Europa del futuro

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La commissione che conferisce il premio nobel per la pace, ha deciso di insignire di tale riconoscimento per il 2012 l’Unione Europea, motivando la scelta con il ruolo che Bruxelles ha avuto nella riconciliazione del continente europeo e con il suo impegno per la pace e per i diritti umani. Gli euroscettici di diversa estrazione hanno contestato aspramente una decisione che premia un’Unione in crisi, che non ha saputo risolvere la questione dei Balcani, che si è spaccata sull’Iraq e sulla Libia e che è associata al terzo reich dai manifestanti in Spagna e in Grecia.

Certo le contestazioni degli euroscettici non vanno sottovalutate d’ufficio, ma bisogna riconoscere che le motivazioni della commissione di Oslo non sono deboli.

Il lungo cammino dell’Unione Europea è iniziato con il trattato di Parigi che istituiva la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio, era il 1951. Negli ottant’anni precedenti l’Europa era stata insanguinata da tre gravi conflitti, tutti direttamente o indirettamente provocati dalla rivalità franco-tedesca e si pensò di mettere in piedi una rete di organizzazioni economiche che potessero evitare nuovi conflitti tra la Francia e la Germania. L’Unione Europea dal 1992 in avanti e prima i suoi antesignani hanno di certo garantito che l’Europa non venisse di nuovo dilaniata dalle dispute tra i due grandi stati dell’Europa occidentale/continentale, si può quindi affermare che l’obiettivo per cui è stata concepita (o meglio l’obiettivo per cui le comunità che l’hanno preceduta sono state concepite) è stato centrato, e dopo il 1945 a molti milioni di cittadini europei (purtroppo non a tutti) è stata risparmiata la tragedia della guerra. Tutto questo oggi pare sia stato spazzato via dalla memoria di troppi europei e sono troppi coloro che ritengono che la guerra sia per sempre  divenuta incompatibile con l’Europa, non sono bastate le guerre balcaniche per fare capire agli europei che la vecchia e cattiva Europa (espressione di uno storico dell’Europa orientale di cui mi approprio), quella della débacle di Emile Zola, di Verdun e della Shoa non è morta per sempre.

E’ un peccato che molti Europei abbiano dimenticato questa storia, sono lieto che una commissione di un paese europeo che si è sempre tenuto lontano dall’Unione abbia cercato di farci ritornare la memoria.

Poi, negli anni, il progetto della casa comune europea si è arricchito di altri contenuti, per rispondere alle sfide della guerra fredda prima e, dopo il 1989, di quello che è stato definito nuovo disordine globale. Una corretta ed armonica evoluzione dell’Unione Europea è divenuta presupposto per la sua sopravvivenza, avanzare sui nuovi fronti è diventato presupposto per non arretrare sui vecchi.

Questo premio vuole essere un ponte tra il passato e il futuro, è un tentativo di valorizzare un passato di difesa della pace  e dei diritti umani (purtroppo non senza alcune ambiguità), è un tentativo di ricordare per il presente che nessuna conquista è per sempre, è una sorta di investitura per il futuro, per un Unione che oggi è in affanno ma se domani scomparisse se ne sentirebbe la mancanza, sia perché non bisogna dare per scontato che nel 2012 la pace e i diritti umani siano qualcosa di cui gli europei non possono essere privati, sia perché per uscire dalla crisi serve una capacità di impattare su variabili globali che ormai i singoli stati europei non possono più governare. Occorre evitare che un modello valido sia seppellito dallo spread e dai debiti,  occorrono nuove regole per l’economia sempre più globalizzata, occorre la globalizzazione dei diritti che (bene o male) hanno gli europei, occorre dare un senso alla primavera araba, occorre stroncare i germi del fondamentalismo religioso e del terrorismo. Lavoriamo tutti perché l’Unione Europea presto vinca un altro nobel per aver raggiunto tali obiettivi.

Certo quando da due anni non passa giorno senza che sulle prime pagine dei giornali si parli d’Europa in crisi e senza che nei talk show ci si interroghi sulla fine dell’Euro, fa piacere che  arrivi un tale riconoscimento proprio da un paese da molti ritenuto in salute perché non aderito all’Unione Europa, è la prova tangibile che esiste ancora quella forza d’attrazione che ha trasformato un’organizzazione internazionale di sei stati dell’Europa occidentale e continentale in un’Unione di ventotto stati Europei; il nobel non è solo un incoraggiamento o un premio alle intenzioni, è anche un invito a procedere velocemente verso un’integrazione ulteriore delle economie e dei sistemi finanziari dell’Unione Europea, e se qualcuno inizialmente si defilerà (si pensi alla Svezia, alla Gran Bretagna, alla Repubblica Ceca) pazienza, sarà necessario andare avanti e rimettere in piedi la zona euro con chi sta al gioco, gli altri capiranno dopo, si adatteranno alle nostre regole, come già è successo tante altre volte.

Il nobel deve renderci orgogliosi, ma non ci deve fare dimenticare che a Bruxelles molte cose devono cambiare, come forse anche molte facce.

di Salvatore Sinagra

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